Le alterazioni patologiche della prostata

Un approfondimento del Prof. Petta
a cura della UOS Comunicazione, marketing e URP

La prostata è un organo muscolo ghiandolare che circonda l’uretra nel punto della sua  inserzione nella vescica. È formata da una trentina di ghiandole che sboccano nell’uretra, contenute in un tessuto fibromuscolare. Questo complesso anatomico, infine, è avvolto da una capsula.
Pur essendo le alterazioni patologiche della prostata di pertinenza della “mezza età”, questo organo può riservare “sorprese" anche nell’età giovanile manifestandosi con episodi di tipo infettivo acuto, con tutti i segni e sintomi tipici di un quadro settico, febbre, anche elevata, intensi disturbi minzionali: la prostatite acuta. In alcuni casi, fortunatamente limitati, la forma acuta può evolvere verso la forma cronicizzata (prostatite cronica), quadro clinico che, pur in assenza di infezione documentabile, è causa di notevoli problemi, anche di carattere emotivo, per chi ne è affetto, che condizionano non poco la vita di relazione.

 

È con il passare del tempo che la ghiandola prostatica dà segni della sua presenza in maniera inevitabile, con il manifestarsi di disturbi urinari variamente rappresentati e riferiti che spesso condizionano la vita di relazione del soggetto. Con l’avanzare dell’età e, si può dire, in maniera parafisiologica, la prostata va infatti incontro ad un aumento di volume (ipertrofia). Compaiono quindi  sintomi dapprima definiti di “riempimento” o irritativi, termini che identificano con appropriatezza la necessità di urinare frequentemente, in particolare durante il giorno, vaga sensazione di bruciore prima e durante la minzione, sensazione di non completo svuotamento. Poi, con il tempo, che spesso è valutabile in anni, si manifestano sintomi “ostruttivi”, con riduzione della forza del getto urinario, residuo di urina nella vescica dopo la minzione, minzione notturna.
Non adeguatamente affrontati, questi disturbi possono comportare fenomeni infiammatori a carico della prostata, prostatiti, in genere asintomatiche, infezioni urinarie e altre gravi complicanze fino alla compromissione della funzione renale, oggi fortunatamente molto rare grazie alla corretta divulgazione da parte dei media della cultura medica e alla conseguente presa di coscienza dell’importanza di consultare specialisti alla comparsa della sintomatologia.

 
Piuttosto che di terapia dell'ipertrofia prostatica benigna (IPB) è più corretto parlare di possibilità di ridurre il fastidio dei sintomi correlati all’IPB. Questo in quanto la sintomatologia è legata all’attività della vescica che si trova costretta a lavorare contro un aumento delle pressioni esercitato dalla prostata sul lume uretrale riducendone il calibro.
Purtroppo ad oggi non esiste una terapia per ovviare l’inesorabile aumento di volume della ghiandola prostatica. Si ricorre pertanto all’uso di farmaci, gli alfalitici, in grado di ridurre lo spasmo della muscolatura della prostata e dei tessuti circostanti (collo vescicale) e permettere alla vescica di “lavorare” in condizioni ottimali. L’obiettivo è prevenire il danno che le elevate pressioni di spinta della vescica, al fine di ottenere l’eliminazione completa dell’urina,  col tempo, possono provocare sul muscolo vescicale (detrusore).
La chirurgia rimane l’unica terapia che permette di risolvere il problema ostruttivo definitivamente. È indicata in caso di scarso miglioramento della sintomatologia dopo trattamento farmacologico appropriato e somministrato per un tempo adeguato, in presenza di significativo residuo urinario e di patologie vescicali associate quali infezioni urinarie ricorrenti o calcolosi vescicale.
La rimozione del tessuto prostatico che provoca ostruzione, avviene prevalentemente per via endoscopica, per mezzo di strumenti rigidi (resezione endoscopica di prostata: TURP), procedura meno invasiva del trattamento chirurgico tradizionale.
Nel caso di soggetti più giovani ed in presenza di prostate di piccole dimensioni, può essere efficacemente indicato il trattamento LASER di rimozione del tessuto prostatico ostruente, per evitare la complicanza dell’eiaculazione retrograda (reflusso del liquido seminale in vescica).

Uno degli aspetti più complessi da affrontare da parte dello specialista nell’ambito della patologia prostatica  è rappresentato dalla gestione dei valori dell’antigene prostatico specifico, il PSA, impiegato oramai da oltre venti anni per la diagnosi della neoplasia prostatica, forma tumorale di riscontro sempre più frequente ma fortunatamente diagnosticata in fase molto precoce grazie a tecniche  innovative e sofisticate.
Questa sostanza, prodotta esclusivamente dalla prostata, aumenta nel tempo in stretta relazione con l’aumento di volume della ghiandola (più tessuto prostatico = più PSA). Il PSA è prodotto dalla prostata oltre che in condizioni fisiologiche, anche per diverse patologie cui la ghiandola potrebbe andare incontro: prostatiti acute e croniche, fenomeni infiammatori, manovre strumentali complesse come l’ecografia transrettale.
Per poter adeguatamente gestire il valore del PSA, compreso nel range di normalità tra 0 e 3,99 ng/dl, è opportuno considerare i fattori quali: il volume prostatico, fenomeni infiammatori ricorrenti cui va incontro la prostata ipertrofica, spesso sospettati per l’aumento repentino del valore del PSA totale, le manovre strumentali quali l’ecografia prostatica transrettale, eseguita immediatamente prima del dosaggio del PSA, l’aumento fisiologico del PSA nel corso degli anni, nonché la “velocità” di aumento del PSA nel corso degli anni, altro evento “fisiologico” nella storia naturale dell’ ipertrofia prostatica.
Ulteriori dati possono essere ricavati dalla valutazione del rapporto tra i valori di PSA libero e di PSA totale, ovvero due modalità di dosaggio del PSA che in parte circola nel sangue non legato a proteine plasmatiche (libero). Tale rapporto, è bene sottolinearlo, non ha valore diagnostico assoluto ed è valutabile solo nei casi di valori di PSA totale compresi tra 4 e 10 ng/dl.
Pur ricorrendo a queste possibilità, spesso si hanno difficoltà interpretative  del valore di PSA.

Un ulteriore aiuto nella valutazione è dato dall’uso del Trim-probe strumentazione a disposizione degli ambulatori della UOC di Urologia.

Questo esame, non invasivo, che necessita di brevi tempi di esecuzione, ricorre all’uso di emissioni di onde elettromagnetiche a bassa intensità che interferiscono con i campi magnetici generati dalle cellule umane, registrando le modificazioni di tali campi che le cellule affette da neoplasia possono creare.

Recentemente è stato introdotto un esame che valuta le caratteristiche genetiche delle cellule prostatiche neoplastiche recuperate dalle urine emesse dopo accurato massaggio prostatico: il PCA3. Questo esame ancora non disponibile su vasta scala, la cui affidabilità deve essere confermata dal suo impiego routinario, sembra offrire garanzie maggiori rispetto al semplice dosaggio del PSA. Non è possibile ancora considerarlo un test di primo livello e deve essere riservato ai casi fortemente sospetti e dopo corrette valutazioni cliniche e laboratoristiche.

Prof. Stefano Petta
Responsabile U.O.S. Chirurgia Genitale Maschile

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